Skip to content

Accanto a chi ti è stato accanto

Svolgo la professione di Impresario Funebre da tanti anni, ma c’è voluto molto meno tempo per avere chiara una cosa: ogni Funerale fa storia a sé.

L’organizzazione a monte è un copione quasi sempre uguale, certo, ma il resto è unico e irripetibile. E questo perché il “resto”, che poi nel mio lavoro è “tutto”, è fatto di storie, famiglie, individui, che suscitano emozioni e depositano in me ricordi sempre diversi.

Riflettevo oggi: c’è un caso eccezionale che contravviene a questa legge non scritta. Un “tipo di funerale” particolare che mi tocca nel profondo sempre, e sempre allo stesso modo.

Mi riferisco alla situazione in cui viene a mancare una persona lontano da casa. Laddove per casa intendo la terra in cui affondano le radici, in cui risiede la famiglia di origine, gli amici di una vita. Quel luogo in cui si muove i primi passi insieme con propri coetanei e si cresce sotto gli occhi di quelli più grandi, che un giorno finiranno per dire “ti conosco da quando eri piccolo così”.

Ho sempre trovato penosa l’idea di affrontare una degenza lontano dai propri affetti, senza il conforto di facce e luoghi famigliari. In una città in cui ci si è trasferiti per lavoro, o peggio proprio per curarsi.
Per non parlare della distanza che impedisce di essere di conforto, di stare vicino negli ultimi giorni (perché non è possibile conciliare gli impegni del quotidiano con un viaggio troppo lungo), e concede del tempo solo dopo, quando è tutto finito, per unirsi in raccoglimento in ricordo del proprio caro.

In questo mese ho conosciuto Costantino, un signore cagliaritano che per diverse settimane ha vissuto in una stanza dell’Hotel Continental, vicino alle Molinette, per assistere la povera moglie (venuta poi a mancare in seguito ad un trapianto di polmoni). Ed ho conosciuto la numerosa famiglia di Massimo, originario di Taranto, da qualche anno a Torino con la fidanzata piemontese. Mi sono recato nel monolocale che condivideva con lei. Ho incontrato Mamma, papà, sorelle e cognati, appena arrivati dalla Puglia, tutti accampati nel piccolo living: non c’era più spazio per muoversi.

Li ho visti venirmi incontro, col cuore pesante, spaesati, pronti a fare “quel che si deve” e poi, come sono venuti, tornare a casa. Sconvolti dal dolore ma nel dolore ancor più uniti.

Nel gruppo, fortunatamente, c’è sempre qualcuno che più degli altri mantiene una certa lucidità. Ho quindi parlato con il papà di Massimo, il capofamiglia. E ho affidato qualche informazione importante al giovane figlio di Costantino, e al suo cognato, giunto anche lui dalla Sardegna a supporto.

Quando incontro queste famiglie venute da lontano, le impressioni che mi travolgono, come dicevo, sono le medesime di sempre. Gli interrogativi gli stessi.
Mi chiedo come queste persone abbiano fatto a trovare in un momento così difficile la forza anche solo per organizzare il viaggio, sbrigare faccende banali come comprare i biglietti, arrangiare un bagaglio, prendere un aereo, un treno.
Così in balia degli eventi come appaiono, mi chiedo come abbiano fatto a recepire quelle poche essenziali informazioni (sulla sepoltura, o sulla logistica del rientro a casa del feretro) che ho cercato di trasmettere loro.

“Ma non vi preoccupate signori, pensiamo a tutto noi”. La frase magica a cui si abbandonano con sollievo e gratitudine.

Di cosa parleranno durante il viaggio? Approfitteranno di questo tempo passato insieme per ricordare il proprio caro?
E poi mi chiedo sempre che ricordo straziante conserveranno in futuro della nostra città, vista di passaggio in un momento così triste.
Ci torneranno mai?

Li saluto mentre si preparano a completare il proprio itinerario, e affrontare un altro viaggio. Questa volta verso casa. Verso il conforto di facce e luoghi conosciuti. Verso una serenità famigliare da ricostruire col tempo, giorno dopo giorno.


Alberto Grassotti